I PFAS sono composti poli e perfluoroalchilici: sostanze chimiche di sintesi molto usate, per le loro proprietà idro- e oleo-repellenti e ignifughe, negli oggetti di uso comune. Parliamo di tessuti, pentole antiaderenti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti, schiume antincendio, detergenti per la casa, pellicole fotografiche.
Vengono definiti “inquinanti eterni” perché, una volta dispersi nell’ambiente, si degradano in tempi lunghissimi e contaminano fonti d’acqua e coltivazioni, con problemi diretti sulla salute.
Dai dati dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) esistono già delle alternative ai PFAS nella maggioranza dei settori industriali, inclusi quelli delle fonti di energia rinnovabili. Un dossier dell’European Chemical Agency stilato nel 2023 ne individua nel settore delle batterie agli ioni di litio, per i semiconduttori, per le pale eoliche. E diverse imprese stanno già sostituendo i PFAS dalla filiera produttiva. Molte aziende nel settore tessile e nei beni di consumo, inoltre, hanno già iniziato a eliminarli dai processi produttivi.
Greenpeace ha analizzato negli scorsi anni campioni raccolti in veneto, Lombardia, Piemonte e, nel 2024 in Toscana, da cui ha documentato la diffusione della contaminazione e la gravita. In questi giorni l’associazione ambientalista ha lanciato la seconda parte della campagna “Acque senza veleni”, che prevede la raccolta di campioni di acqua potabile in oltre 220 città in tutte le regioni italiane per verificare la presenza di PFAS. L’obiettivo è realizzare la prima mappatura indipendente della contaminazione a livello nazionale.
(Foto: fontanella di acqua potabile a Livorno, Wikimedia Commons)
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