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Ritorno al nucleare, gli italiani dicono no

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Un impinto nucleare

Contrari al ritorno al nucleare. L’81% degli italiani ha risposto così all’indagine Ipsos “Gli Italiani e l’energia”. L’indagine è stata realizzata per Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club ed è stata presentata qualche giorno fa nel corso del XVII Forum Qualnergia. La contrarietà è dovuta alla consapevolezza dei rischi correlati e dei costi nascosti. I tempi lunghi sono un altro fattore considerato: il 43% degli intervistati ritiene che il rientro dall’investimento ci potrebbe essere dai 20 anni in su o addirittura non ci sarà, poiché considera i costi per la produzione di questo tipo di energia incalcolabili.

Interrogati sulla distanza minima che un sito nucleare dovrebbe avere dalla propria abitazione il 41% ha risposto che non lo vorrebbe in nessun caso. Di quanti si sono dichiarati aperti a valutare un ritorno al nucleare solo il 18% sarebbe disposto ad accettare la costruzione di un impianto alla distanza minima di dieci chilometri dalla sua abitazione, mentre il 20% non lo vorrebbe.

Inoltre il 64% degli intervistati non sono d’accordo col definanziamento del fondo automotive a favore del settore Difesa, previsto nella legge di Bilancio. Di questi, il 39% vorrebbe vedere confermato il fondo automotive o, in alternativa, preferirebbe investimenti in altri settori industriali.

La visione sulle fonti rinnovabili

L’85% del campione associa le fonti rinnovabili alla sostenibilità ambientale, e il 44% pensa che che i benefici delle fonti di energia rinnovabila ci saranno entro dieci anni. Il 52% degli intervistati ritiene che la transizione energetica verso queste fonti consentirebbe all’Italia di ridurre la dipendenza dai paesi esteri produttori di fonti fossili. Il beneficio della maggiore indipendenza dall’estero è associato al vantaggio della riduzione dei costi, altro effetto positivo per il 37% del campione, e alla possibilità di autoprodurre la propria energia (35%). Sul fronte degli svantaggi legati alla transizione energetica, il 41% annovera i costi iniziali elevati per la riconversione/installazione dei sistemi di produzione. Tuttavia per il 58% degli italiani la transizione energetica sarà conveniente.

«Le imprese nel mondo stanno investendo quasi esclusivamente in impianti a fonti pulite: lo scorso anno, secondo i dati di IRENA, in tutto il mondo, gli impianti a fonti rinnovabili hanno rappresentato l’86% della nuova potenza installata per produrre elettricità, mentre quelli a fonti fossili e gli impianti nucleari hanno contribuito solo per il 14%», sottolinea Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. «Basterebbero questi pochi dati per non riaprire in Italia una discussione che pensavamo di aver chiuso, per ben due volte, con il voto referendario del 1987 e 2011. Il nucleare è morto, e non siamo stati noi ambientalisti ad ucciderlo, ma un killer insospettabile: il libero mercato. Ne prenda atto il governo italiano».

 

Foto: Canva

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