Sulla diffusione dei PFAS nelle acque l’Agenzia europea per l’ambiente ha recentemente pubblicato il briefing “PFAS pollution in European waters”. Il report presenta i dati relativi ai PFAS nei siti di monitoraggio dei Paesi Ue. Secondo l’AEA non abbiamo conoscenze sufficienti sulla situazione degli PFAS, ma i dati raccolti indicano la necessità di rivedere gli attuali limiti.
I Paesi dell’Unione Europea, secondo la Direttiva Quadro sulle Acque potabili, devono monitorare una serie di sostanze nelle acque superficiali, tra cui ad esempio l’acido perfluoroottansulfonico (PFOS), potenzialmente cancerogeno per l’uomo. Nel 2022, 14 Paesi hanno riportato dati di monitoraggio per i PFOS nelle acque superficiali. I dati “indicano che il perfluorottano sulfonato (PFOS) è diffuso in tutte le acque europee, spesso superando i livelli di soglia regolamentari fissati per evitare potenziali rischi per la salute umana e l’ambiente”, afferma il briefing dell’AEA.
Alcuni valori nei Paesi membri
Francia e Italia hanno riportato, nel complesso, il maggior numero di campioni. In Belgio, Francia e Islanda, la diffusione dei PFAS supera gli standard di qualità ambientale (SQA) adottati dall’UE per proteggere la salute umana e l’ambiente nel 100% dei corpi idrici individuati. In Olanda, il 96% dei siti supera gli SQA, in Germania l’83%, in Italia, il 54% dei corpi idrici supera gli SQA. Secondo il briefing, “Si può concludere con sicurezza che un numero significativo di siti di monitoraggio dell’UE è sotto pressione a causa dell’inquinamento da PFOS”.
Nel gruppo dei PFAS i composti considerati maggiormente preoccupanti sono stati finora PFOS e PFOA (acido perfluoroottanoico). “Tuttavia, c’è una crescente preoccupazione per gli effetti nocivi di tutti i composti del gruppo PFAS, compresa una crescente evidenza che i composti meno studiati possano avere impatti negativi simili”. I dati supportano l’attuale proposta della Direttiva quadro sulle acque potabili di ampliare l’elenco delle sostanze prioritarie per inserire 24 PFAS specifici e l’urgenza di revisionare i limiti indicati nella Direttiva.
(Foto: Canva)
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