Biobarriere reattive
Le principali tecnologie utilizzate per il risanamento di acque sotterranee da composti delle benzine sono il pump & treat, l’estrazione multi-fase, l’air sparging e l’ossidazione chimica in situ . Un approccio innovativo è costituito dalle barriere reattive permeabili (BRP). In una BRP, il flusso idrico contaminato transita, spinto dal gradiente naturale, in una zona della barriera (“cella reattiva”) ove i contaminanti disciolti possono essere adsorbiti sul materiale di riempimento della barriera (ad esempio su carbone attivo), rimossi per reazioni chimiche (ad esempio per riduzione con ferro zero-valente) o biodegradati da microrganismi adesi al materiale di riempimento della cella. Le BRP sono considerate un trattamento di tipo passivo, poiché non vi è impegno continuo di energia e le azioni di mantenimento necessarie al sistema sono limitate.
Nelle barriere di tipo biologico (biobarriere – BB), la cella reattiva è costituita da un idoneo supporto colonizzato da biomassa fissa, approvvigionata di quanto necessario per lo svolgimento del processo nelle condizioni ambientali di interesse (nutrienti, accettori di elettroni, etc.). Dato il recente sviluppo, si tratta di sistemi ancora poco testati a piena scala; dati riportati dalla U.S. EPA relativi a 317 casi di interventi di risanamento di MTBE in falda negli USA indicano 3 siti nei quali sono stati impiegati sistemi tipo BB. In questi siti, comunque, l’inoculazione o la fornitura di accettori di elettroni e/o di nutrienti sono stati condotti nell’acquifero naturale; così operando, non è stato possibile superare le limitazioni dovute alle eterogeneità del terreno, alla conducibilità idraulica e all’attaccamento/ distaccamento della biomassa.
È possibile ridurre questi problemi utilizzando un idoneo supporto per la biomassa, quali torba, perlite, pozzo- lana, pomice e oxiumolite . A confronto con le barriere reattive permeabili basate su meccanismi chimico-fisici, la conducibilità idraulica nella zona reattiva di una biobarriera deve essere sufficientemente bassa da ridurre il distaccamento della biomassa e consentire un tempo di residenza del contaminante sufficientemente lungo per il processo biologico (mesi o più). L’ approccio comporta tipicamente il rilascio passivo o semi-passivo di re- agenti mediante pozzi o dal materiale di riempimento stesso e l’ eventuale installazione di barriere verticali impermeabili per direzionare l’ acqua e i contaminanti verso la cella reattiva (sistemi “funnel & gate”).
Le prestazioni di una BB dipendono da vari fattori: a) un’ idonea configurazione e ubicazione della barriera, tale da catturare integralmente le acque di falda contaminate; b) il raggiungimento di condizioni adeguate per il processo biologico nella zona reattiva (tipo e concentrazione di biomassa adesa, accettori di elettroni e nutrienti); c) adeguato tempo di residenza dei contaminanti nella zona reattiva. La progettazione di una BB deve quindi prevedere una dettagliata caratterizzazione del sito, con particolare attenzione ai parametri geologici ed idrogeologici (livello di falda, spessore dell’ acquifero, poro- sità efficace, conducibilità idraulica, direzione di flusso, gradiente idraulico) e alle caratteristiche chimico-fisiche dell’ acqua di falda (pH, potenziale redox, concentrazioni di ossigeno disciolto, ferro, manganese e solfati, nutrienti, temperatura). Successivamente, vanno eseguite prove a scala di laboratorio, batch ed in colonna, per selezionare una biomassa idonea, individuare un opportuno materiale di riempimento della cella reattiva e ricavare i parametri fondamentali necessari per la successiva fase di modellizzazione (conducibilità idraulica e dispersività longitudinale del mezzo di riempimento, coefficiente di ritardo dei contaminanti, costanti cinetiche di degradazione). Infine si procede alla simulazione, mediante modellazione numerica 3D con opportuni codici di calcolo numerico, di diversi scenari di BB (in termini di localizzazione, configurazione e dimensioni), al fine di prevedere gli effetti del sistema sul flusso idrico, ottenere un tempo di residenza dei contaminanti nella zona reattiva idoneo per il conseguimento degli obiettivi di risanamento prefissati, nonché individuare l’ ubicazione dei punti di fornitura accettori di elettroni.
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Fonte: Articolo “Biobarriera: una tecnica innovativa per la rimozione in situ di composti organici da derivati del petrolio” di Sabrina Saponaro, Elena Sezenna, Luca Bonomo